Reno Brandoni è un chitarrista e scrittore che ha alle spalle una lunga e importante carriera di collaborazioni con Stefan Grossman, John Renbourn, Duck Baker e Dave Van Rock. È attivo dagli anni ‘80 come musicista, pubblicando gli album gli album “Bluesando” (1984), “Zingarom” (2005), “Yelda” (2006), “Anema e Corde” con Giorgio Cordini (2008) e “Indifeso” (2017) ed esibendosi nei più importanti teatri italiani.
Nel 2017 si cimenta con il suo primo libro per ragazzi “Il Re del Blues”, poi pubblica “La notte in cui inventarono il rock”, “Una classica serata jazz’’
e il nuovo libro musicale uscito il 27 Maggio 2019 dal titolo ‘’FILASTROCCHE PER SENTIRSI GRANDI” Edizioni Curci.
Reno Brandoni, Maria Elena Rosati, Stefano Nosei, Special Guest Paolo Fresu
L’esperienza di scrittore in realtà è iniziata molto tempo prima con i manuali di chitarra “Open Tuning Basics” e “Come suonare la chitarra Fingerpicking”.
E’ stato molto più impegnativo scrivere libri per ragazzi, stimolare l’attenzione e la curiosità su argomenti forse poco trattati al di fuori delle scuole?
E’ impegnativo perché devi stare molto attento al linguaggio, bisogna misurare le parole, cercare di mandare messaggi senza sembrare esageratamente formali. E’ necessario trovare il modo di coinvolgere, incuriosire, attirare l’attenzione. I ragazzi sono più distaccati, interessati a stimoli diversi. Parlare di un certo tipo di musica, reintrodurre il concetto di cronologia, analizzare i fatti per far comprendere epoca e abitudini, può risultare a volte molto complesso. Solitamente la prima reazione è di diffidenza.
‘’Una classica serata Jazz – link’’ e ‘’Il Re del Blues – link’’ affrontano dei generi musicali che appaiono poco nelle classifiche musicali, e di conseguenza nelle radio è possibile ascoltarli in programmi specifici, ma hanno grande riscontro di pubblico, infatti ci sono molti festival dedicati al Jazz e al Blues, come ad esempio a Giugno il Django Festival che si terrà a Milano.
Quale è stato il punto di partenza per raccontare queste storie?
Innanzitutto l’esperienza personale. Durante le lezioni con Stefan Grossman, che negli anni ’70 è stato il mio maestro, si parlava di musica e musicisti. Il personaggio di Robert Johnson fu il primo a catturarmi e affascinarmi. Mi piaceva il mistero della sua vita, la sua leggenda ha accompagnato buona parte dei miei studi. Quando ho iniziato la mia trilogia non potevo nascondere questa passione, ho cercato di adattare la storia di questo famoso bluesman per incuriosire e catturare i più giovani. Alla fine dei miei laboratori tutti vogliono fare i bluesman, significa che il messaggio funziona, e arrivato. La curiosità per il personaggio li stimola a scoprire la sua musica. Per “La notte in cui inventarono il Rock” la
strada è stata in discesa grazie alla notorietà di Jimi Hendrix, mentre per “Una classica serata Jazz” ho dovuto inventare una storia che mi permettesse di far capire l’essenza della musica Jazz. Ho così lavorato su un dialogo immaginario tra Chopin e Petrucciani, una storia fantastica e affascinante che ha contrapposto due culture, quella Jazz e quella Classica e mi ha permesso di essere invitato da Paolo Fresu al suo primo meeting dedicato al “Jazz nelle scuole”.
Il nuovo libro musicale ‘’Filastrocche per sentirsi grandi’’ è un viaggio musicale sugli artisti che hanno fatto la storia della musica rock degli anni ’60 e ‘70.
C’è il rischio per le nuove generazioni di dimenticare o non conoscere la cultura musicale moderna?
Purtroppo si è perso il gusto della cronologia, della storia, la curiosità del perché di un certo artista o di un genere musicale. Si ascolta passivamente un nuovo brano senza comprenderne il contesto, le origini e i musicisti che ci suonano. Si danno per nuove, geniali e innovative, idee sviluppate cinquant’anni fa. Gli anni ’70 hanno rappresentato un momento storico e irripetibile per la musica rock, le influenze di quel periodo continuano a essere di riferimento per i nuovi musicisti, ma non tutti hanno la voglia di indagare su personaggi mitici come Bob Dylan i King Crimson o James Taylor. Questo libro cerca di accompagnare i più curiosi in questo percorso.
Durante l’incontro con i giovani lettori, alla Fiera del libro per Ragazzi a Bologna , quale tipo di riscontro ha avuto?
Di grande soddisfazione. Il romanzo “Filastrocche per sentirsi grandi” è apprezzato da lettori di tutte le età. Ognuno percepisce un messaggio diverso. C’è la storia della musica rock, il mistero e la scoperta dei nove vinili e la storia del nonno che da guida spirituale diventa protagonista di un mistero. Poi c’è la tecnologia, la ricerca, il rapporto con la famiglia e l’affrancarsi da certi affetti, un abbandono che ti fa crescere. Ci sono tanti argomenti e ognuno può scegliere la strada che preferisce. E’ un libro libero, in cui ho raccontato molto di me. Forse per questo risulta vero. Il mio coinvolgimento emotivo è stato così totale che a metà racconto ho dovuto modificare il protagonista del libro, da maschile a femminile. La mia emotività iniziava a penalizzare il racconto. Avevo bisogno di maggiore lontananza, così ho chiesto aiuto a Sara (la protagonista al femminile), che si è presa cura di guidarmi nel percorso con il giusto distacco.
Come è nata la collaborazione con il musicista e cabarettista Stefano Nosei e Maria Elena Rosati scrittrice di canzoni per bambini ?
Maria Elena l’ho incontrata in una libreria, entrambi eravamo impegnati con dei laboratori. Mi ha sentito suonare la chitarra e mi ha chiesto se avevo piacere a realizzare un accompagnamento per alcune sue composizioni. Gli ho risposto che potevo provarci, così mi ha mandato delle filastrocche. I testi non avevano nessun nesso tra di loro, erano nove filastrocche indipendenti, scritte senza una logica sequenza.
Ho iniziato a musicarle e mentre lavoravo mi è venuta l’idea di non leggerle come filastrocche ma di dargli una importanza da vere canzoni. Lavoro spesso con Stefano Nosei, lui è un interprete straordinario, si adatta a qualsiasi stile e genere musicale. Gli ho parlato della mia idea e abbiamo iniziato a collaborare scrivendo musiche in vari stili (Bob Dylan, James Taylor, Neil Young, Tom Waits, etc) utilizzando i testi delle filastrocche. Il risultato è stato sorprendente, gli scritti perdevano la loro aurea infantile e diventavano canzoni impegnate, i testi diventavano messaggi per adulti. Ho capito allora l’importanza della comunicazione, della modalità con cui le cose vengono dette e di come questo possa cambiare il senso del messaggio, in controtendenza rispetto ai messaggi WhatsApp con gli emoticon. Allora ho iniziato a lavorare sulla storia, cercando elementi nel testo che legassero le filastrocche rendendole parte di un percorso, come se fossero state scritte appositamente e non capitate insieme casualmente.
Un ultima domanda, Marcin Patrzalek è un giovane musicista polacco e ha vinto l’edizione di Tu si que vlaes, il talent show di Maria de Filippi.
-In veste di critico musicale ritiene Marcin un fuori classe?
-E più in generale i talent show possono essere utili a scoprire nuovi artisti meritevoli di attenzione?
Riconosco a Marcin un grande talento e sicuramente grandi doti virtuosistiche. La mia visione della musica però mi porta da un’altra parte. Per apprezzare Marcin bisogna vederlo, ascoltarlo non basta. La musica dovrebbe staccarsi dalla visione, dovrebbe funzionare anche solo con l’ascolto. Chi mi conosce lo sa, da tempo sto portando avanti una battaglia per riportare la musica per chitarra alla sua essenza, allontanandola dalla esclusiva spettacolarizzazione, che sicuramente attrae ma si allontana dalla ragione della musica stessa e ne fa perdere il senso. E’ un’altra cosa, non è più musica. Non ho niente contro i talent, spesso li seguo anche se non riesco mai ad arrivare alla fine. Mi piace la parte delle selezioni, poi quando inizia lo show business si perde la genuinità del musicista e personalmente perdo interesse.
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