È STATA LA MANO DI DIO – attraverso Maradona il racconto di formazione scritto e diretto dal premio Oscar® Paolo Sorrentino, al cinema e su Netflix


In Concorso e in anteprima mondiale
alla 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
È STATA LA MANO DI DIO
Scritto e diretto dal regista e sceneggiatore
premio Oscar® Paolo Sorrentino
Prodotto da Lorenzo Mieli e Paolo Sorrentino
Una produzione The Apartment, società del gruppo Fremantle
CAST
Filippo Scotti Fabietto Schisa
Toni Servillo Saverio Schisa
Teresa Saponangelo Maria Schisa
Marlon Joubert Marchino Schisa
Luisa Ranieri Patrizia
Renato Carpentieri Alfredo
Massimiliano Gallo Franco
Betti Pedrazzi Baronessa Focale
Biagio Manna Armando
Ciro Capano Capuano
Enzo Decaro San Gennaro
Lino Musella Mariettiello
Sofya Gershevich Yulia
Dora Romano Signora Gentile

“Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male.”
Diego Maradona
In È STATA LA MANO DI DIO, Paolo Sorrentino torna nella Napoli della sua gioventù per raccontare il turbolento racconto di formazione di un ragazzo, una storia resa ancora più intensa dal legame personale che presenta con il passato del suo stesso autore. È una storia più personale e decisamente più emozionale di tutte quelle che ha raccontato in precedenza. È un’immersione in una memoria viva, in un bellissimo mondo imperfetto che non sarebbe potuto durare. Ma è anche la struggente descrizione dell’impulso ad andare avanti, a creare, a cogliere qualunque sconcertante occasione si presenti, anche in mezzo a un immenso dolore.
Siamo negli anni ’80. A Napoli tutti parlano in modo febbrile di Maradona, l’illustre leggenda del calcio che pare possa, quasi per miracolo, arrivare in città per giocare nella sfavorita squadra locale. L’aria è densa di promesse e l’adolescente Fabietto Schisa la respira a pieni polmoni. Se a scuola appare come impacciato ed emarginato, la vita comunque gli sorride. I suoi genitori sono volubili, hanno i loro difetti, ma si amano ancora. Le loro famiglie sono chiassose, a volte travagliate e tuttavia molto divertenti. I pranzi sono interminabili, i drammi famigliari vanno in scena ogni giorno, la risate sono incessanti e il futuro sembra ancora molto lontano.
Poi, un inspiegabile incidente capovolge ogni cosa. E, come fece un tempo Sorrentino negli anni della sua gioventù, Fabietto deve trovare un modo per sfuggire alle profondità della tragedia e venire a patti con lo strano gioco del destino che lo ha lasciato in vita. Con un passato andato distrutto e nonostante tutto un’intera esistenza davanti a sé, traccia la rotta del suo percorso attraverso la perdita e verso il nuovo.
Questo insieme di devastazione e liberazione è qualcosa che Sorrentino ha sperimentato all’approssimarsi dell’età adulta. E nonostante la finzione e la realtà si intreccino liberamente in È STATA LA MANO DI DIO — talmente liberamente che persino gli elementi fantastici sembrano far parte del mondo perfettamente controllato di Fabietto — il film ricostruisce in modo meticoloso la città e l’atmosfera della famiglia in cui egli è cresciuto.
Nato nel 1970, Sorrentino cresce nel Quartiere Vomero di Napoli, sulla collina che si affaccia sulla distesa panoramica del porto della città. Quando ha 16 anni, entrambi i suoi genitori muoiono all’improvviso e in modo del tutto inaspettato per avvelenamento da monossido di carbonio a causa di una fuga di gas nella casa di villeggiatura della famiglia. Di norma, Sorrentino avrebbe dovuto essere insieme ai suoi genitori quel fine settimana. L’unica ragione per cui non rimane anch’egli vittima della tragedia è che ha ottenuto il permesso di restare a casa da solo, per la prima volta nella sua vita, per andare a vedere Maradona che gioca in trasferta con il Napoli.
Sorrentino arriva a percepire Maradona, un uomo già ammantato di divinità sul campo di calcio, come una forza che ha protetto la sua vita. Ma anche il cinema diventa una forza salvifica per lui, una distrazione dall’angoscia. Rifugiandosi nel fare film con grande passione, Sorrentino inizia a lavorare come aiuto regista.
Esordisce nella sceneggiatura scrivendo POLVERE DI NAPOLI a quattro mani con lo sceneggiatore-regista Antonio Capuano, anch’egli personaggio chiave in È STATA LA MANO DI DIO. Di lì a poco Sorrentino passa dietro alla macchina da presa con la commedia L’UOMO IN PIÙ, interpretata da Toni Servillo, l’ultimo film che realizza a Napoli fino a quando non vi tornerà per girare È STATA LA MANO DI DIO.
Da quel momento in poi, Sorrentino scrive e dirige i suoi film, tra i quali LA GRANDE BELLEZZA, vincitore del premio Oscar per il Miglior film straniero, e YOUTH – LA GIOVINEZZA, candidato agli Academy Awards, nonché l’acclamata serie televisiva HBO The Young Pope e la successiva The New Pope.
Conquista una fama a livello internazionale per lo stile vivace che caratterizza una cinematografia dinamica e sfrenata e una narrazione esuberante. Ma nel caso di È STATA LA MANO DI DIO, il tratto febbrile scompare e lascia spazio a qualcosa di più esposto e più accessibile di tutte le esperienze che ha creato.
RICORDARE PER POTER DIMENTICARE
note del regista Paolo Sorrentino
sul film È stata la mano di Dio
È in un momento pervaso da un senso di frustrazione per una sceneggiatura di The New Pope che Sorrentino compie un’inversione a U. Per concedersi una meritata pausa dai rompicapi religiosi, decide di prendersi qualche giorno di vacanza e in quei giorni inizia a sperimentare scrivendo una storia che scaturisce semplicemente dalla propria esperienza interiore, dai ricordi che riaffiorano da un passato che forse ha influenzato il suo lavoro nell’ombra, ma che non ha mai affrontato in modo diretto. Paolo Sorrentino per la prima volta, scrive degli eventi più formativi della sua esistenza, alcuni luminosi e divertenti, altri talmente cupi e strazianti che possono apparire inavvicinabili.
In un primo momento Sorrentino non ha in mente di ricavare un film da quello scritto; al contrario, pensa di poterlo offrire in regalo ai propri figli. “Ho pensato che avrebbe potuto offrire loro la possibilità di capire non tanto il mio carattere quanto i miei difetti”, spiega. L’obiettivo di una franchezza senza difese e senza vincoli di controllo caratterizza la scrittura. La sceneggiatura emerge in modo organico, come un tutt’uno, nel giro di pochi giorni. Se il processo di scrittura è spesso una guerra tra quello che si nasconde e quello che si rivela, qui la nuda rivelazione possiede l’autore. Tuttavia Sorrentino ancora non sa di preciso se questa sceneggiatura emotivamente trasparente resterà solo in famiglia o se prenderà vita nella forma di un film.

“Capita a volte di provare l’esigenza di registrare i ricordi, di fissarli da qualche parte”, afferma. “Ma con il passare del tempo, ho pensato che forse sarebbe stata una buona idea farne un film perché avrebbe potuto aiutarmi non tanto a risolvere i problemi che ho avuto nella vita, quanto ad osservarli da una posizione molto più vicina e a conoscerli meglio. Tutti i miei film sono nati da sentimenti che mi appassionavano, ma dopo averli realizzati quella passione è svanita; così ho pensato che se avessi fatto un film sui miei problemi, forse sarei anche riuscito a dimenticarli, almeno in parte.”
Forse, scrivendo per dimenticare, i ricordi diventano ancora più elettrizzanti e vividi e generano un’immersione totale nei vari momenti rievocati. Per Sorrentino potrebbe essere pericoloso avvicinarsi così tanto al cavo sotto tensione della sua sofferenza personale, ma addentrandosi in questo territorio si rende conto che il processo di realizzazione del film gli consente al contrario uno spazio per prendere un po’ di fiato.
“Per me l’aspetto interessante di fare un film autobiografico è che a quel punto quei problemi non sono più i miei problemi, ma sono i problemi del film”, spiega. “E non appena diventano i problemi del film, diventano più affrontabili. Quando ho iniziato a montare il film, guardare e riguardare quei ricordi è diventata quasi un’abitudine ed è molto più facile affrontare un’abitudine che affrontare un ricordo.”
Se è vero che il cinema può congelare il tempo, Sorrentino percepisce anche il suo potere di aggiungere un’altra dimensione alla storia del film: una comunione con gli spettatori che portano in sala le proprie esperienze di perdita, il proprio vissuto di quei momenti nella vita in cui le cose meravigliose e le cose terribili entrano in collisione. Questa connessione di sicuro non contiene una risoluzione, ma forse può offrire una sorta di conforto. “Se altre persone potranno relazionarsi e identificarsi con le mie esperienze, se si vedranno specchiate nel film, significa che la mia sofferenza sarà divisa a metà”, commenta Sorrentino, che ancora cerca di comprendere la strana logica del dolore infinito.
LA FUGA DALLO STILE DI SORRENTINO
Le emozioni che circondano È STATA LA MANO DI DIO sono talmente potenti, e a tratti persino rischiose, che Sorrentino decide che se realizzerà il film, farà quello che non ha mai fatto prima: ridurre all’essenza ogni singolo elemento. Laddove l’ironia intensa e la stilistica formale sono da sempre gli strumenti distintivi, e in costante evoluzione, nella sua scatola degli attrezzi, qui sceglie di metterli da parte e di permettere alla pura narrazione di posizionarsi al centro della scena.
“Ho cercato di raccontare questa storia senza alcun filtro, in un modo semplice. L’unico filtro è l’evocazione del passato, i ricordi e i sentimenti che provavo quando ero ragazzo”, dichiara. “Per questo film non mi sono preoccupato di un’idea specifica di stile. Ho sentito che sarebbe dovuto emergere in maniera naturale. A dire il vero ho pensato che sarebbe stato molto liberatorio per me fare un film senza uno stile prevalente e mi sono ritrovato ad apprezzare quello che in passato avevo sempre cercato di evitare.”

Tuttavia, per quanto minimale, una ricca energia cinematografica caratterizza È STATA LA MANO DI DIO. La struttura è intessuta non solo di tormento e amore famigliare, ma anche in egual misura di mistero, calore, umorismo e desiderio, tutti elementi che entrano in gioco sullo sfondo della palpabile bellezza di Napoli. L’ordinario e lo spettacolare occupano lo stesso spazio. I dettagli umani dei personaggi brillano della loro stessa vitalità. Si percepisce il senso di come il tempo perduto possa in sé diventare stimolo per l’arte e la creazione.
Il film offre anche un commovente spaccato di vita nella forma di una serie di momenti — un pranzo di famiglia illuminato da sole, una avventata vittoria a calcio, le insensate parole di un dottore, un giro notturno in motoscafo, un treno che sfreccia verso una nuova città — che scivolano tra le nostre dita e tuttavia ci rendono quello che siamo.
Il riso alleggerisce costantemente il dolore, risoluta forma di ribellione contro di esso.Come nell’autofiction in letteratura, Sorrentino fa saltare le linee che separano il vero e l’immaginario, trasformando uno stesso elemento in evento reale e fabbricazione e sfruttando la confusione che caratterizza il procedimento per trovare un modo fresco per evocare l’essenza di un periodo della vita in cui tutto è immerso in un limbo. “Non è detto che tutto quello che vediamo nel film è realmente successo”, osserva Paolo Sorentino. “Alcuni eventi sono accaduti, altro no. Ma è del tutto autentico nel riflettere quello che ho veramente provato in quel periodo del passato”.
Sorrentino continua: “Penso che la principale differenza tra questo film e gli altri che ho fatto stia nel rapporto tra verità e bugie. Se gli altri miei film si alimentano di falsità nella speranza di individuare un barlume di verità, questo parte da sentimenti reali che sono poi stati adattati alla forma cinematografica”.
Il produttore Lorenzo Mieli, che ha lavorato con Sorrentino sulle serie The Young Pope e The New Pope, rimane sorpreso quando il regista gli parla della sceneggiatura. “Mi ha detto che aveva finalmente scritto un film a cui pensava da molti anni e di averlo scritto di getto, nel giro di 48 ore”, ricorda Mieli. “Quando l’ho letto, sono rimasto scioccato per come era riuscito a scrivere un racconto così intenso, così apparentemente semplice e tuttavia così complesso nelle tematiche che tratta, in un lasso di tempo così breve.”
Per Mieli, È STATA LA MANO DI DIO evoca “quel momento delicato e cruciale in cui passiamo dall’essere dei ragazzi al diventare adulti. È un cambiamento che può essere assimilabile a un salto nel buio, ma è anche il momento in cui impariamo la pratica del vivere.”
Malgrado la differenza stilistica, Mieli considera il film parte integrante della visione generale della vita e del cinema di Sorrentino — conservando l’essenza e i temi che sono incontestabilmente tipici dell’autore. “A prima vista, il film è senz’altro diverso da gran parte dei lavori precedenti di Paolo”, commenta Mieli. “È facile notare come la grandezza visiva del suo cinema o l’uso della musica differiscano rispetto agli altri suoi film. Eppure in È STATA LA MANO DI DIO Paolo esplora cose di cui ha sempre parlato, malgrado lo faccia in un modo nuovo. Penso che ad oggi sia il suo film più maturo e consente a tutto quello che abbiamo sempre osservato nel suo cinema di sbocciare.”
LA MANO DI MARADONA
Forse nessuno sportivo al mondo ha mai suscitato tanta strenua devozione né acquisito tali poteri demiurgici quanto Diego Armando Maradona nella sua breve vita.
Per molti, guardare giocare il campione è molto più vicino a un’epifania spirituale del tifare per un’intera squadra. Il suo aspetto da ragazzo di strada dall’aria furfantesca, alto solo 165 centimetri, che sfoggia un fisico compatto che maschera la sua sublime velocità e lo straordinario controllo di palla non fanno altro che incrementare la sua misteriosità e il suo fascino. Senza dubbio, era umano a livelli quasi strazianti fuori dal campo — la sua vita privata costellata di conflitti, dipendenze, faide e problemi coniugali — ma questo rendeva la magia che era in grado di produrre con il suo corpo e il suo cuore ancora più innaturale. Lo scrittore Eduardo Galeano ha condensato il fenomeno in poche parole, definendo Maradona “il più umano degli dei”.
L’argentino è già considerato una brillante superstar del calcio in Europa quando iniziano a circolare voci di una sua possibile acquisizione da parte della squadra di calcio del Napoli. Ma dal momento che Napoli è una città difficile e priva di grandi capitali, e Maradona il calciatore più costoso di tutti i tempi, sembra un’assurdità degna di necessitare un gesto di intervento divino. Eppure accade. All’epoca, la squadra del Napoli non ha mai vinto neppure il campionato italiano. All’improvviso, Maradona porta non solo il trionfo (e due titoli di Serie A) ma anche una palpabile ondata di speranza e orgoglio a una città spesso ignorata e la città lo adotta, poi lo adora, quando diventa quello che mai avrebbe immaginato: una contendente.
L’Effetto Maradona trascende completamente lo sport.Ben presto Maradona diventa inseparabile da Napoli, il suo volto affisso lungo tutti i muri e gli edifici, il suo nome sacrosanto. “Io rappresento i nessuno”, disse una volta e i nessuno lo trasformarono nel loro santo patrono.
Può essere impegnativo spiegare la fascinazione che Maradona ha avuto sulla gente di Napoli. Sorrentino dichiara: “Penso che l’unico modo in cui si possa spiegare il fenomeno Maradona stia nel fatto che aveva un rapporto più stretto con il divino che con l’umano. Maradona non è arrivato a Napoli a bordo di un aeroplano, è addirittura apparso dal nulla come un dio. Ha offerto redenzione alla gente, come una figura religiosa, e ci ha invitati ad amarlo per i suoi peccati. Per i ragazzi della mia generazione, ha creato un rapporto con il calcio che va oltre la semplice tifoseria, è un rapporto che rasenta una gioia sconfinata, una gioia estenuante, quasi insopportabile”.
Andare a vedere giocare Maradona dà alla vita di tutti i giorni una carica elettrizzante. “Era la felicità a velocità turbo, perché non era solo questione di vedere un calciatore, c’era anche tutto il corollario che si portava dietro, la sensazione che nella vita tutto vada per il verso giusto, dell’attesa della domenica, un giorno di festa, un giorno in cui eri perennemente in uno stato di frenesia. Andavi allo stadio con gli amici in uno stato di completa sovra eccitazione ed era tutto un po’ avventato. A volte facevamo l’autostop per andare allo stadio o usavamo qualsiasi veicolo riuscissimo ad accaparrarci, oppure andavamo a piedi. Era una scusa per vivere delle avventure”, conclude Sorrentino.
La frase “la mano di Dio” viene associata per la prima volta a Maradona durante i (quarti di finale dei) Mondiali del 1986 in Messico, quando segna le due reti vincenti dell’Argentina contro l’Inghilterra. Il secondo gol è considerato il capolavoro di tutti i tempi, ma per quanto riguarda l’azione che porta al primo, il replay rivelerà che ha commesso fallo colpendo il pallone con la mano. Quando gli viene chiesto un commento dopo la partita, Maradona risponde sfacciatamente (che il gol è stato siglato): “un po’ con la testa di Maradona e un altro po’ con la mano di Dio.”
L’eco delle sue parole fa il giro del mondo, ma getterà nello scompiglio Sorrentino. Nel film È stata la mano di Dio, è lo zio di Fabietto, Alfredo, (interpretato dall’attore, regista teatrale e drammaturgo napoletano Renato Carpentieri) a usare la frase per descrivere l’unica spiegazione plausibile della ragione per cui la vita di Fabietto viene risparmiata, sollevando lo spettro del suo destino, malgrado sia stato radicalmente alterato.
“Ho sempre amato quella espressione perché riassume un atteggiamento nei confronti della vita”, dichiara Sorrentino. “Fabietto si salva da morte certa grazie alla sua passione per Maradona, un aspetto che inizia a prendere in considerazione solo quando suo zio, pazzo o illuminato – lascio che siano gli spettatori a decidere – gli dice che è stata la mano di Dio”. Maradona fornisce a Sorrentino anche un primo assaggio della libertà dell’immaginazione.
“Vengo da una famiglia che non aveva molte inclinazioni artistiche. La forma più alta di fantasia nella mia famiglia era l’ironia e l’abbandono a una bella risata, al divertimento. Da bambino, non ho frequentato il cinema, la letteratura o la fotografia. L’unico artista nella mia vita era Maradona. Ho scelto un percorso completamente diverso grazie alla creatività che ho scoperto in lui e anche nelle creazioni fiabesche di Napoli come Il Monaciello. Divenne il mio modo per sfuggire alla realtà”.
LA CONCLUSIONE DELLA STORIA: IL MONTAGGIO E LE MUSICHE
È STATA LA MANO DI DIO
Come per la fotografia, la scenografia e i costumi, anche lo scopo del montaggio è quello di mantenere una disarmante sincerità al centro della struttura di un film che riproduce un flusso di vita. Per questo Sorrentino si avvale della collaborazione del suo montatore storico, Cristiano Travaglioli, che ha vinto uno European Film Award per LA GRANDE BELLEZZA. Tra i due esiste uno scambio di idee unico a livello creativo. “Conosco Paolo da 24 anni ormai e ho seguito il suo percorso di regista, quindi non abbiamo molto bisogno di parlare della sua visione del film, perché inevitabilmente abbiamo una comprensione reciproca senza che sia necessario definire ogni singolo dettaglio”, commenta Travaglioli. “Tra noi è come una partita di ping-pong, la pallina sfreccia veloce da una parte all’altra del tavolo”.
Travaglioli inizia il suo lavoro pienamente consapevole della differenza che esiste tra questo film e i precedenti di Sorrentino. “La semplicità e la natura essenziale del film sono scelte formali che ho sempre tenuto in considerazione”, osserva.
“Ma l’aspetto della storia che mi interessava maggiormente, e che mi auguro tocchi molto gli spettatori, è l’attenzione sulle emozioni più primarie e tuttavia più profonde della nostra esistenza – la felicità, la serenità, la gioia di un pomeriggio al mare, la perdita, il disorientamento, il dolore del lutto… sono tutte emozioni umane che ciascuno di noi prova nella vita”.
Il montaggio inizia mentre le riprese sono ancora in corso.
“Mentre Paolo stava ancora girando, ho cominciato a strutturare il film”, spiega Travaglioli. “Il ritmo spesso è stato dettato dal girato stesso e dalle emozioni nella scrittura. In seguito, al termine delle riprese, Paolo e io abbiamo rivisto insieme il film per concentrarci sul tessuto narrativo della storia, spostando alcune scene in punti che ci sono apparsi più incisivi”.
Ogni volta che si tratta di prendere una decisione, cosa che avviene di frequente,l’istinto è sempre quello di scegliere il percorso più diretto. “Sento che le scelte che abbiamo compiuto sono state mirate e ardite”, afferma Travaglioli. “Paolo è sempre molto coraggioso. Può sembrare una caratteristica essenziale a tutti i registi, ma vi assicuro che non è un tratto così comune, anzi è raro. Paolo non ha paura di sperimentare, di ricercare le cose e non ha paura di cimentarsi in nuovi territori”.
Tuttavia, a volte Travaglioli è sopraffatto dalla prossimità emotiva di alcune scene.
“Mi è capitato di trovarmi da solo a montare sequenze di eventi della vita di Paolo che so da anni e ho sentito un profondo dolore, insieme a un sacro rispetto per le interpretazioni degli attori”, ammette.Un ultimo elemento che differisce in modo drastico dalle consuete enfasi di Sorrentino è la musica del film.
Analogamente a Fabietto, che è sempre attaccato al suo Walkman, Sorrentino da ragazzo ha ascoltato molta musica. Ma quando si tratta di decidere della colonna sonora, sceglie di non attingere a quelle influenze e di mantenere come ritmo primario del film le voci umane. “Come tutti, trovo che la musica sia uno dei principali detonatori di emozioni, aiuta a ricordare e fa affiorare sentimenti profondi. Ma ho sentito che includere la musica che ascoltavo in quegli anni avrebbe significato scivolare nella retorica”, spiega. “Quindi ho deliberatamente scelto la colonna sonora come se stessi facendo un film su un’altra persona”.
La musica si sposta in primo piano solo nell’ultimissima scena del film. Mentre è seduto su un treno che lo sta portando a Roma e Napoli svanisce fisicamente, Fabietto ascolta nelle sue cuffiette la canzone “Napule è” del cantautore napoletano Pino Daniele che proietta il film al tempo stesso nella promessa del futuro e in una fantasticheria dolce e triste. Il brano di successo, pubblicato nel 1977, è un’ode sentimentale alla città, con il suo testo che inizia con “Napoli è mille colori, Napoli è mille paure, Napoli è la voce dei bambini che sale piano piano e tu sai che non sei solo”.
“È un brano molto bello e malinconico che dice che puoi lasciare Napoli se vuoi, ma che Napoli resterà sempre dentro di te. Per certi aspetti, è un perfetto compendio dell’intero film”, dichiara Sorrentino.
La fine sembra anche riagganciarsi alla dichiarazione di bilancio di Maradona che apre il film: “Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male”. Non sono parole di rammarico, ma sono imbevute di un desiderio perenne e intenso che potrebbe riferirsi a Fabietto in quel preciso momento o decenni dopo, che potrebbe riferirsi a qualunque dei personaggi o a chiunque abbia attraversato quella terra di nessuno che è la perdita e sia andato avanti.
CAST TECNICO
Scritto e diretto da Paolo Sorrentino
Direttore della Fotografia Daria D’Antonio
Assistente Regia Jacopo Bonvicini
Montaggio Cristiano Travaglioli
Suono Emanuele Cecere, Silvia Moraes, Mirko Perri
Costumi Mariano Tufano
Scenografie Carmine Guarino
Produttori Esecutivi Elena Recchia, Gennaro Formisano, Riccardo Neri
foto di copetina
Set del film “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino.
Nella foto Filippo Scotti, Toni Servillo e Teresa Saponangelo. Foto di Gianni Fiorito
È stata la mano di Dio uscirà in cinema selezionati il 24 novembre
e su Netflix il 15 dicembre 2021.
THE APARTMENT
The Apartment è una società fondata nel 2020 da Lorenzo Mieli e fa parte del gruppo Fremantle, tra i principali creatori e produttori e distributori internazionali di contenuti scripted e unscripted. The Apartment nasce per sviluppare e creare serie e film di scala globale investendo nell’acquisizione di proprietà intellettuali e in accordi esclusivi con autori e talenti internazionali. The Apartment si posiziona sul mercato come incubatore di grandi progetti la cui produzione esecutiva, una volta sviluppati e finanziati, è realizzata da un network di società partner. The Apartment, tra le altre cose, firma con Wildside serie come The New Pope di Paolo Sorrentino, L’amica Geniale – Storia del nuovo cognome di Saverio Costanzo e We Are Who We Are di Luca Guadagnino e ne svilupperà gli eventuali seguiti. CEO unico della società è Lorenzo Mieli.
NETFLIX
Netflix è il più grande servizio di intrattenimento in streaming del mondo, con oltre 209 milioni di abbonati paganti in oltre 190 paesi che guardano serie televisive, documentari e film in un’ampia varietà di generi e lingue. Gli abbonati possono guardare tutto ciò che vogliono in qualsiasi momento, ovunque e su ogni schermo connesso a Internet. Possono mettere in pausa e riprendere la visione a piacimento, senza interruzioni pubblicitarie e senza impegno